Rapporto periodico biennale e problemi di riservatezza del dato

Pubblichiamo alcuni primi approfondimenti sulla gestione dell’invio del rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile.

Facciamo seguito alla nostra news del 29 settembre scorso per dare conto di primi approfondimenti sulla questione della riservatezza dei dati da inserire nel rapporto periodico.

A nostro avviso, anche se la legge si limita a disporre soltanto che non vanno indicate le identità dei lavoratori interessati dal rapporto, va senz’altro equiparata a questa disposizione la situazione in cui il trattamento economico riservato a taluni lavoratori è indirettamente, ma certamente, riferibile ad essi.

Ciò può accadere, ad esempio, nel caso in cui nell’impresa ci sia un unico dirigente o un unico quadro, ovvero nel caso in cui ci siano due dirigenti ma un uomo e una donna e così via.

In base alle disposizioni a tutela della privacy dei lavoratori, anche la possibilità di identificare indirettamente, ma con certezza, il titolare di uno specifico trattamento economico, se oggetto di comunicazione a terzi, costituisce un trattamento non autorizzato.

Del resto è lo stesso Decreto interministeriale di attuazione, 29 marzo 2022, che afferma espressamente, all’art. 2, punto 3, che i dati non devono essere suscettibili di determinare, neppure indirettamente, l’identificabilità degli interessati.

Ne deriva che riteniamo che le imprese ben possano omettere di inserire dati suscettibili di condurre alla identificabilità degli interessati.

Per mera trasparenza, si potrà utilizzare lo spazio delle note del prospetto informatico per l’invio, al fine di dar conto dell’omissione di alcuni dati, motivata dal rispetto della normativa a tutela dei dati personali.

Ciò premesso, riteniamo altresì che i datori di lavoro possano qualificare come riservate, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 25 del 6 febbraio 2007, le informazioni rese ai rappresentanti dei lavoratori e contenute nel Rapporto periodico sulla situazione del personale maschile femminile (articolo 46 del d.lgs. n. 198 del 2006).

L’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 25 del 6 febbraio 2007, recante “Attuazione della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori”1, consente, infatti, ai datori di lavoro di qualificare come riservate, nel legittimo interesse dell’impresa, le informazioni rese ai rappresentanti dei lavoratori.

Ed è senz’altro un legittimo interesse dell’impresa mantenere riservata la “politica retributiva” attuata nei confronti del proprio personale dipendente, anche soltanto per ragioni legate alla tutela della concorrenza.

Ne deriva che le imprese vincolate alla trasmissione del Rapporto periodico sulla situazione del personale alle Rsa e, in loro assenza, alle Rsu, ben possono qualificare come riservate, ai sensi dell’articolo 5 del d.lgs. n. 25 del 2007,le informazioni contenute nel Rapporto, con le conseguenze disciplinate nello stesso art. 5 (divieto di divulgazione ai lavoratori e ai terzi, divieto che permane per un periodo di tre anni successivo alla scadenza del mandato di rappresentanza; eventuale responsabilità civile; possibilità di applicazione di sanzioni disciplinari).

Dunque, seppur deve ritenersi legittimo il trattamento dei dati contenuti nel Rapporto periodico, ex art. 46 del d.lgs. n. 198 del 2006, da parte delle Rsa e delle Rsu, perché previsto dall’ordinamento, ciò non significa che le stesse possano ritenersi esonerate da forme di responsabilità relative a condotte non in linea con i principi di leale collaborazione.

Da ultimo cogliamo l’occasione per confermare, come già precisato nella nostra precedente news del 23 settembre 2022, che non concordiamo con il contenuto della faq pubblicata sul sito del Ministero del Lavoro, nella sezione Pari opportunità, che afferma che, in difetto di rsa o rsu presenti in azienda, il rapporto andrebbe inviato alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative.

A nostro avviso la faq si fonda su un improprio utilizzo dell’interpretazione analogica dell’art. 37 del d. lgs. n. 198 del 2006 che attiene alla distinta ed autonoma materia processuale.

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Teresa GiornaleResponsabile Area Lavoro, Welfare, Formazione

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