DL lavoro convertito in Legge – Le principali novità in materia di lavoro

Prime indicazioni sulle principali novità introdotte dal Decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023 (c.d. Decreto Lavoro), convertito con Legge n. 85 del 3 luglio 2023.

Modifiche al decreto trasparenza

Con l’art. 26 del decreto, convertito con L. 85/2023, si è proceduto a modificare le disposizioni di cui all’art. 1 e art. 1-bis del D. Lgs. 152/97 (già modificate dal D. Lgs. 104/2022).

Quanto all’art. 1, è stato aggiunto il comma 5-bis che consente al datore di lavoro di assolvere l’obbligo informativo di cui al 1° comma, lett. h), i), l), m), n), o) e r), attraverso “l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie”.

Ancora, all’art. 1 è stato aggiunto il comma 6-bis, ai sensi del quale il datore assolve gli adempimenti di cui al 1° comma, tramite la consegna o messa a disposizione dei contratti applicati e/o dei regolamenti, anche mediante rinvio ai contenuti del sito web. Non può invece considerarsi adempiuto l’obbligo di messa a disposizione attraverso il rinvio al link del CNEL, considerato che:

  • non sono presenti tutti gli accordi aziendali (quindi a questo livello della contrattazione non si potrebbe adempiere);
  • per i contratti collettivi nazionali sono presenti per lo più rinnovi, il che potrebbe tradursi in un rinvio parziale, che renderebbe gravosa la ricostruzione della versione integrale del testo da parte del dipendente.

Va comunque ricordato che in queste ipotesi, oltre all’informativa al singolo lavoratore, il comma 6 dell’art. 1-bis prescrive l’obbligo per il datore di rendere le stesse informazioni alle RSA o RSU e, in loro assenza, alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Infine, è stato chiarito che gli obblighi informativi di cui all’art. 1-bis non devono essere osservati nel caso di sistemi protetti da segreto industriale o commerciale.

Modifiche alla disciplina del contratto a termine

Con l’art. 24 del D.L. 48/2023, convertito con L. 85/2023, il legislatore ha praticamente eliminato le causali legali precedenti (facendo salva l’ipotesi della sostituzione), prevedendo che il contratto a termine possa avere una durata superiore ai 12 mesi (sempre nel limite massimo dei 24):

  1. nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D. Lgs. 81/2015;
  2. in assenza delle previsioni di cui alla lett. a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30.04.2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate delle parti;

b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.

È stato altresì opportunamente abrogato il comma 1.1. (che ha più volte ingenerato difficoltà interpretative).

Con la legge di conversione è stata, poi, estesa ai rinnovi la disciplina prevista per le proroghe “acausali” dal comma 4° dell’art. 19 D. Lgs. 81/2015: in altre parole, sarà possibile, d’ora in poi, effettuare proroghe e rinnovi liberamente nei primi 12 mesi.

Al comma 1-ter dell’art. 24 del D. L. 48/2023 è stata poi aggiunta una norma di carattere intertemporale, ai sensi della quale: “Ai fini del computo del termine di dodici mesi previsto dall’articolo 19, comma 1, e dall’articolo 21, comma 01, del decreto legislativo n. 81 del 2015, come modificati dai commi 1 e 1-bis del presente articolo, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

  • Interpretazione.

Dalle “specifiche esigenze” ai “casi.

Si può notare, anzitutto, come il legislatore abbia, di fatto, ampliato il perimetro in cui può essere esercitata l’autonomia negoziale collettiva ai fini dell’individuazione delle ipotesi in cui è possibile rinnovare o prorogare il contratto a termine: mentre prima, infatti, si faceva riferimento a “specifiche esigenze”, ora si parla di “casi”, che è senz’altro espressione più lata della precedente e che, quindi, apre la possibilità che vengano individuate cause sia di tipo oggettivo che soggettivo (come, ad esempio, potrebbe essere l’esigenza di incentivare l’occupazione di certe categorie di lavoratori).

Solo nell’ipotesi di mancata individuazione di tali casi da parte della contrattazione collettiva, sia nazionale che aziendale, può intervenire (entro il 30.04.2023) l’autonomia delle parti individuali (datore e lavoratore interessato).

Si pone, tuttavia, un problema di carattere intertemporale con riferimento alle esigenze già individuate dai contratti collettivi stipulati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina.

Parte della dottrina sostiene che la validità ed efficacia di tali previsioni dovrebbe venire meno, essendo venuta meno la base normativa del rinvio alla contrattazione collettiva.

Altra parte della dottrina, invece, argomenta in senso contrario, facendo leva sul carattere significativamente più limitato delle previsioni della precedente contrattazione (“specifiche esigenze”), che, dunque, dovrebbero a fortiori considerarsi valide alla luce delle attuali previsioni che, come suddetto, riconoscono un maggiore margine di autonomia alla contrattazione collettiva (casi).

Confindustria propende, senz’altro, per questa seconda interpretazione.

Rinnovi e proroghe acausali

Per quanto riguarda le modifiche apportate in punto di rinnovi si osserva quanto segue.

Come dicevamo innanzi, il contratto a termine, come regola generale, può ora essere prorogato e rinnovato senza causale nei primi 12 mesi, ma senza eccedere il termine complessivo dei 12 mesi stessi (cfr. art. 19, 4° comma, ultimo periodo, D. Lgs. 81/2015)

Si pone qui un delicato problema interpretativo, che riguarda l’esatta individuazione dell’arco temporale entro il quale si può procedere ai sensi dell’1-bis.

Stante la versione letterale della norma, che usa l’espressione “nei primi 12 mesi”, si ritiene più opportuno, prudenzialmente, intendere questi 12 mesi come decorrenti a far data dal primo giorno di rapporto, cosicché i rinnovi acausali dovrebbero intervenire ed esaurirsi entro il 12° mese dal primo giorno di rapporto e, in ogni caso, conteggiando nei 12 mesi anche i periodi di eventuale intervallo tra un rinnovo e l’altro.

Norma intertemporale

Il comma 1-ter dell’art. 24 D. L. n. 48/2023, convertito con L. 85/2023, si interpreta, a nostro modo di vedere, come segue: l’intento del legislatore è quello di attribuire una rilevanza parziale ai contratti a termine pregressi ovvero in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Dunque, per effetto del comma 1-ter, l’eventuale svolgimento di rapporti a termine pregressi o in corso all’entrata in vigore del D.L. 48/2023, avrà rilievo relativo. In questo modo il legislatore consente alle imprese di stipulare nuovi contratti a termine “acausali”, ovvero prorogare quelli in essere, fino ad un massimo di 12 mesi, anche con lavoratori con i quali avevano già intrattenuto rapporti pregressi. In questo caso, però, la decorrenza dei 12 mesi acausali, in base al comma 1-ter, decorre dal primo giorno in cui (dopo l’entrata in vigore del decreto) o si stipula un vero e proprio rinnovo, oppure inizia l’eventuale periodo di proroga del rapporto in essere.

ESEMPI. REGOLA GENERALE = primo contratto acausale di 5 mesi dal 7 giugno 2023 al 7 novembre 2023. È possibile prorogarlo o rinnovarlo senza causali al massimo fino al 7 giugno 2024. Ad esempio, all’interno di questo arco temporale massimo, si può: prorogare di 2 mesi dal 7 novembre 2023 al 7 gennaio 2024;dal 7 gennaio al 7 febbraio 2024 effettuare una pausa di 1 mese;poi rinnovare per 4 mesi dal 7 marzo 2024 al 7 giugno 2024. (TOTALE è 5 mesi iniziali + 2 mesi di proroga + 1 mese di pausa + 4 mesi di rinnovo = 12 mesi complessivi che, comunque, non superano il limite dei 24 mesi, considerato che il primo rapporto era di soli 5 mesi).   NORMA INTERTEMPORALE = contratto acausale di 5 mesi (in corso al momento dell’entrata in vigore del “Decreto Lavoro”) che scade il 10 luglio 2023 (dopo entrata in vigore della legge). È possibile: prorogarlo per 12 mesi senza causali dall’11 luglio 2023 fino all’11 luglio 2024;rinnovarlo per 12 mesi, anche con un intervallo temporale che rispetti i periodi di c.d. “stop and go”, ad esempio dal 30 luglio 2023 fino al 30 luglio 2024;prorogarlo per 3 mesi dall’11 luglio 2023 fino all’11 ottobre 2023, poi fare eventualmente una pausa di 1 mese fino all’11 novembre 2023 e poi rinnovarlo per 8 mesi dall’11 novembre 2023 all’11 luglio 2024 (la somma dei tre periodi è 12 mesi complessivi). Le tre ipotesi prospettate rispettano tutte il limite complessivo dei 24 mesi di rapporto.

L’interpretazione più “prudente” di tale norma intertemporale è, dunque, nel senso di ammettere questa parziale irrilevanza dei rapporti a termine pregressi, ai soli fini dei rinnovi e delle proroghe acausali, non anche per il calcolo del termine massimo di 24 mesi.

Pertanto, è sempre necessario che, attraverso le proroghe ed i rinnovi acausali ex comma 1-ter, la durata complessiva dei vari contratti a termine succedutesi nel tempo – tenendo conto anche di quelli precedenti al 5 maggio 2023 – non superi il termine massimo di 24 mesi. Restano salve, chiaramente, le ipotesi in cui i contratti collettivi applicati nell’impresa consentano una durata complessiva superiore ai 24 mesi.

ESEMPIO. L’impresa ha stipulato, prima del 5 maggio 2023, un contratto acausale di 12 mesi e poi, ad esempio per la necessità di sostituzione di un lavoratore, ha prorogato quello stesso contratto per 10 mesi. Dopo il 5 maggio sarà possibile una ulteriore proroga o un rinnovo (sempre nel rispetto dei periodi di c.d. “stop and go”), senza la necessità di ricorrere alle causali, per un massimo di 2 mesi e non di 12 mesi.

Infine, ulteriore questione intertemporale riguarda le eventuali proroghe e/o rinnovi effettuati nel periodo intercorrente tra il 5 maggio 2023 ed il 3 luglio 2023 (prima dell’entrata in vigore della Legge di Conversione del Decreto), quando ancora non era stata introdotta la disciplina di cui ai commi 1-bis e 1-ter.

Le proroghe e i rinnovi intervenuti tra il 5 maggio e il 3 luglio (ossia il giorno prima della data di entrata in vigore della legge di conversione) sono stati attuati, infatti, osservando le norme pregresse (che consentivano di operare “liberamente” solo le proroghe nei primi 12 mesi e non anche i rinnovi e che imponevano, naturalmente, di tenere conto a tal fine anche dei precedenti rapporti a termine intervenuti tra le parti).

Ma, nonostante queste proroghe e questi rinnovi siano stati realizzati in base alla vecchia disciplina, di essi dovrà tenersi conto, ai fini del conteggio dei 12 mesi acausali, in quanto il comma 1-ter “impone” di considerare – appunto, ai fini del conteggio dei 12 mesi acausali – i contratti stipulati a far data dal 5 maggio 2023.

ESEMPIO. L’impresa ha stipulato un contratto a termine “acausale” di 4 mesi, con scadenza al 10 maggio 2023. Dal 10 maggio 2023, in base alla precedente disciplina (non essendo ancora entrati in vigore i commi 1-bis e 1-ter dell’art. 24), è stata pattuita una proroga di 8 mesi, fino a gennaio 2024, rispettando il limite dei 12 mesi acausali (4 mesi + 8 mesi = 12). Se l’impresa vorrà utilizzare nuovamente il dipendente, dopo questa proroga, potrà prorogare o rinnovare il rapporto (in questo secondo caso, nel rispetto dei periodi di “stop and go”) per soli 4 mesi e non 12 mesi, in quanto il periodo degli 8 mesi di proroga è intervenuto dopo il 5 maggio e, pertanto, rientra nel calcolo dei 12 mesi acausali.

Quanto al contratto a termine a scopo di somministrazione valgono le stesse considerazioni ma con queste precisazioni.

L’impresa utilizzatrice che, alla data del 5 maggio, ha già un lavoratore in somministrazione a termine “acausale” (esclusa l’ipotesi in cui il lavoratore somministrato sia stato assunto a tempo indeterminato dall’Agenzia, fino al 20 giugno 2025) può chiedere che l’Agenzia proroghi fino al dodicesimo mese il contratto acausale iniziale, oppure può assumerlo direttamente con un contratto a termine acausale per un massimo di 12 mesi, ma sempre nel rispetto della durata massima dei 24 mesi.

Inoltre, l’impresa utilizzatrice, nel caso chiedesse, oggi, all’Agenzia l’invio in missione di un lavoratore senza necessità di indicare una causale, potrebbe avere interesse a chiedere di vedersi inviato in missione un lavoratore che ha già utilizzato in una precedente missione, facendo riferimento all’ipotesi dell’1-ter, e quindi potrebbe avvalersi di un lavoratore che già conosce senza avere effetti pregiudizievoli.  Questa nuova missione potrebbe durare fino a 12 mesi purché, però, l’Agenzia non abbia, nel frattempo, intrattenuto con lo stesso lavoratore ulteriori rapporti a termine (inviandolo in missione presso altro utilizzatore). Dunque, si può consigliare all’utilizzatore di accertarsi, seppure in via del tutto informale, che l’Agenzia non abbia appunto, medio tempore, stipulato ulteriori contratti a termine con quello stesso lavoratore.

Se poi l’impresa utilizzatrice volesse proseguire ad avvalersi di quello stesso lavoratore, oltre ai 12 mesi acausali in base all’1-ter, ma sempre con un contratto di somministrazione, allora dovrà verificare con l’Agenzia che la somma dei 12 mesi acausali, in base all’1-ter, e la durata dei rapporti pregressi e di quello futuro non superi il limite dei 24 mesi e dovrà anche indicare all’Agenzia la causale da apporre al contratto a termine.

Somministrazione

Lo stesso dicasi nel caso l’impresa utilizzatrice volesse assumere direttamente a termine quel lavoratore.

Il comma 1-quater dell’art. 24 del D.L. 48/2023, convertito con L. 85/2023, infine, modifica l’art. 31, 1° comma, D. Lgs. 81/2015, aggiungendo:

  1. al primo periodo, dopo le parole: “il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato” sono inserite le seguenti: “esclusi i lavoratori somministrati assunti con contratto di lavoro in apprendistato”;
  2. dopo il secondo periodo, il seguente: “È in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo indeterminato di lavoratori di cui all’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.

Da tale modifica consegue l’esclusione dal limite quantitativo del 20% dei lavoratori somministrati assunti con contratto di apprendistato e, se la somministrazione è a tempo indeterminato, dei lavoratori in “ex” mobilità, disoccupati che godono di trattamenti di disoccupazione (non agricola) o di ammortizzatori sociali da almeno 6 mesi e dei lavoratori svantaggiati.

Per tutto quanto non contenuto nella presente news, si rinvia alla nota di commento allegata.


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Giornale

Teresa GiornaleResponsabile Area Lavoro, Welfare, Formazione

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Tel: 0824/50120 int. 1 - 349 7643554

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