Contratto a tempo determinato: importante pronuncia della Corte di Cassazione

L’assunzione a termine di un lavoratore precedentemente somministrato presso lo stesso datore di lavoro non è equiparabile ad un rinnovo ai sensi dell’art. 19, 1° comma, D. Lgs. 81/2015.

Pubblichiamo una pronuncia della Corte di Cassazione (Sent. 20505/2024) che conferma l’orientamento espresso da Confindustria, dopo l’entrata in vigore del c.d. Decreto dignità, secondo cui la stipula di un contratto a termine con un lavoratore precedentemente somministrato presso lo stesso datore di lavoro non deve essere considerata alla stregua di un rinnovo ai sensi dell’art. 19, 1° comma, D. Lgs. 81/2015 e, quindi, non occorre osservare il sistema delle “causali” (sempre che la durata del contratto a termine non superi i 12 mesi).

Tale orientamento, quindi, non corrisponde a quanto a suo tempo affermato dal Ministero del Lavoro nella Circolare n. 17 del 31 ottobre 2018, secondo cui “in caso di periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi indicando la relativa motivazione”.

La Circolare ministeriale, dunque, equiparava la stipula ex novo di un contratto a termine tra lavoratore ed utilizzatore, intervenuta dopo un periodo di somministrazione, ad un rinnovo e, quindi, estendeva l’ambito applicativo del 1° comma dell’art. 19 del D. Lgs. 81/2015.

La Corte di Cassazione, invece, ha chiarito che non è possibile il cumulo di due periodi di lavoro eterogenei (il periodo di lavoro somministrato con il periodo del lavoro a termine) per l’applicazione del meccanismo delle “causali” di cui al 1° comma dell’art. 19, in quanto tale cumulo è previsto dal comma 2 come regola speciale solo per il calcolo del limite massimo dei 24 mesi.

In tale senso – afferma la Corte – è ancora più chiaro l’art. 21, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 81/2015, come introdotto sempre dal medesimo d.l. n. 87/2018, che recita: “Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1”.

Entrambe tali disposizioni coincidono nel non prevedere affatto la diversa ipotesi in cui il lavoratore, occupato con un contratto a termine successivamente prorogato, avesse in precedenza prestato la propria attività con un contratto di lavoro in somministrazione in favore dell’impresa, che lo abbia poi assunto direttamente con contratto a tempo determinato (del resto, la distinta e completa disciplina della “Somministrazione di lavoro” è contenuta nel successivo Capo IV del medesimo d.lgs. n. 81/2015).

Invero, il periodo di missione in somministrazione […] è retto da un contratto diverso da quello a termine […]”.

L’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, come già detto, conferma pienamente l’orientamento espresso da Confindustria, dopo l’entrata in vigore del c.d. Decreto dignità, secondo cui la stipula di un contratto a termine con un lavoratore precedentemente somministrato non deve essere considerata alla stregua di un rinnovo ai sensi dell’art. 19, 1° comma, D. Lgs. 81/2015.

Ciò in quanto, appunto, si tratta di due rapporti di lavoro distinti, non sorretti dal medesimo contratto, il cui cumulo è legittimo solo per il calcolo del periodo massimo di 24 mesi, da rispettare anche in caso di diversi rapporti flessibili con lo stesso datore di lavoro.

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Teresa GiornaleResponsabile Area Lavoro, Welfare, Formazione

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